Return to Monkey Island è stato chiaramente pensato per ritornare ai fasti dei primi due titoli della serie e non c’è dubbio che ci riesca a mani basse, questo però ha anche delle conseguenze…

Return to Monkey Island, sviluppato da Terrible Toybox e pubblicato da Devolver Digital, vede il ritorno della coppia Ron Gilbert e Dave Grossman, gli sviluppatori dei primi titoli (ne avevamo già parlato nell’articolo di preview del gioco), e vuole essere un omaggio è una sorta di remake di quello che fu l’inizio della saga di Monkey Island. Sicuramente riesce perfettamente nel suo intento e giocarlo è, praticamente, fare un tuffo nel passato che ci riporta agli inizi degli anni ’90 quando l’originale primo titolo della serie, “il Segreto di Monkey Island“, segnò una pietra miliare di quella che la storia delle avventure grafiche o, come si diceva all’epoca, i giochi punta e clicca.

Return to Monkey Island riporta lo stesso stile dei “bei giochi di una volta”, ma in una veste grafica totalmente rivista è pensato per le macchine della generazione contemporanea per introdurre un nuovo pubblico al genere ma soprattutto come “operazione nostalgia” per i fan del passato. L’ultima parte sicuramente è riuscita perfettamente. ma sulla prima potrebbero esserci dei problemi e in questo articolo noi della relazione di passioni digitali vi spieghiamo perché di questa nostra affermazione.

Return to Monkey Island è stato rilasciato il 19 Settembre per PC e Nintendo Switch

 

Return to Monkey Island inizia con un Guybrush Threepwood, oramai invecchiato, che racconta suo figlio la storia di quella volta che è dovuto tornare sull’isola titolare per scoprire “il Segreto di Monkey Island”, ma non quella volta che ha scoperto il segreto di Monkey Island nel ’90 nel il primo titolo, questo è un altro segreto… Si ritornerà quindi sull’isola di Melee per radunare un equipaggio e finanziare un’altra spedizione sull’isola… si, come nel ’90, ma questa volta è diverso! C’è un diverso assortimento di leader dei pirati e ci si assicura il passaggio in un altro modo… Per poi, fondamentalmente, arrivare allo stesso punto in cui si è arrivati il primo titolo solo con battute diverse….

Quello che stiamo cercando di dirvi e di non avere aspettative troppo alte sulla storia che, non solo è stata volutamente tenuta il più simile allo stile di quelle originali, ma che come in tutti i titoli della serie è più che altro una scusa per introdurre personaggi bizzarri e battute irriverenti.

Il ritorno su Melee Island offre al gioco una scusa per lanciare addosso al giocatore un assortimento di personaggi già visti nei precedenti titoli della sere, ma ricreati con una nuova veste grafica, ma con la stessa ironia dei titoli originali che strizza l’occhio alla natura umana e soprattutto a come le persone quando lasciate a sé stesse tendono a diventare grette ed egoiste.. Lo stesso Guybrush ha l’abitudine di rovinare vite solo per portare avanti i suoi strampalati obiettivi personali. Questo lo rende meno stravagante e demenziale dei titoli più recenti della serie e più vicino allo spirito acuto delle prima due incarnazioni, cosa che per alcuni di noi della redazione è sicuramente un vantaggio, ma nella pratica dipende molto dai gusti personali.

 

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Anche il livello di difficoltà dei puzzle che dovremo affrontare per andare avanti nel gioco è ritornato a quello dei primi 2 titoli, cosa che farà sicuramente piacere agli appassionati di avventure punta e clicca degli anni ’90, ma potrebbe essere effettivamente frustrante per chi non è abituato al genere. Nel caso comunque il gioco ha la possibilità di impostare la difficoltà per rendere gli enigmi più semplici e con meno passaggi e durante la partita potremmo accedere a un libro dei suggerimenti, che ci darà progressivamente sempre più indizi Nel caso dovessimo rimanere bloccati davanti a qualcosa che non riusciamo a capire, cominciando da Vaghi suggerimenti fino ad arrivare a dire esplicitamente qual è la soluzione.

La presenza di questi suggerimenti interni ha suscitato qualche polemica, francamente però, per chi di noi è abbastanza vecchio da ricordare quando, rimanendo bloccati all’interno di un Punta&Clicca e magari non avendo neanche accesso a internet, per trovare la soluzione di un puzzle l’unica alternativa era perdere ore per provare ogni singolo oggetto su ogni singolo punto della mappa nella speranza di trovare la soluzione di brute force, la cosa è sembrata un’ottima idea. Dopotutto se non si vogliono usare i suggerimenti Basta semplicemente non farlo…

Prima del lancio erano girate voci insistenti sul fatto che Return to Monkey Island fosse un seguito diretto ai primi due titoli della serie curati da Gilbert e Grossman, su questo dobbiamo essere estremamente chiari: No. Murray the Skull è tornato, Elaine e Guybrush sono già sposati e Guybrush stesso, nel corso del gioco, fa uno specifico riferimento ai fatti di “Tales of Monkey Island“. E’ quindi necessario aver giocato a quei giochi per apprezzare Return to Monkey Island? No, ma in realtà sì. Return to Monkey si appoggia fortemente all’autoreferenzialità: gran parte dell’avventura si svolge nei luoghi del primo gioco e ci sono numerosi cameo di personaggi presi da vari titoli della saga, senza contare che tantissime delle battute che sentirete nel gioco si basano sul fatto che i personaggi facciano riferimento ai “bei tempi andati”.
Per quanto noi in redazione avessimo un paio di veri Fan della serie, anche per loro alcuni dei riferimenti erano fin troppo scuri e per chi non aveva mai giocato i titoli precedenti gran parte dell’umorismo è andato del tutto perso. Il gioco rimane comunque giocabile, perché non servono informazioni dai titoli precedenti per risolvere i puzzle che dovremo affrontare, ma per chi non ha mai avuto la possibilità di giocare agli originali la sensazione quella di stare a una festa in cui tutti si conoscono tra di loro e noi siamo gli imbucati.

 

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La vera domanda a questo punto è se Return to Monkey Island riesca a raggiungere la qualità dei titoli classici originali.
La risposta è di nuovo sì, ma anche no…

Questo è assolutamente il titolo più vicino all’apice che la serie aveva raggiunto con i primi due titolo divenuti oramai dei classici: il design del puzzle, il fascino e il flusso del gioco sono tutti praticamente sullo stesso livello degli originali e, soprattutto, l’umorismo è ancora tagliente come un Jolly Rancher in frantumi, che sferra molti colpi degni di una risatina più di una volta in redazione ci siamo trovati a ghignare davanti allo schermo per qualche battuta veramente ben fatta.
Tuttavia una battuta che faccia ridere la prima volta che la senti comincia la diventare stantia alla terza. Return to Monkey Island cerca così tanto di essere in linea con i titoli originali della serie che fallisce nel essere un’opera a sé stante, per quanto la veste grafica totalmente rinnovata lo renda molto distinguibile rispetto agli altri. Sarebbe un ottimo titolo se davvero, come si era vociferato all’inizio, si trattasse del “perduto terzo titolo” della trilogia originale, ma nei fatti non lo è, anzi nel gioco vengono citati anche i titoli successivi, questo è semplicemente un seguito che avrebbe dovuto rilanciare l’intero franchise. Le reazioni che abbiamo avuto qui in redazione sono state abbastanza chiare: chi aveva giocato all’epoca ai titoli di Gilbert ha gustato il titolo con un aroma di nostalgia e lo ha trovato impressionante, per tutti gli altri è stato un bel gioco, ma che non si è distinto da altre avventure grafiche di epoca moderna come Deponia. per poter fare un esempio.

Monkey Island in pratica soffre di quello che potremmo chiamare “l’effetto half-life”: all’epoca dell’uscita ha segnato un cambio dell’intero paradigma delle avventure grafiche, ma adesso che il paradigma è cambiato è diventato solo uno di una serie di buoni titoli da giocare per gli appassionati del genere.

 

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